Lo studio di Piero Fogliati

L’atelier-laboratorio di Fogliati a Torino, che ha molte affinità con quello famoso di Calder, è il luogo del passaggio dal concetto al risultato, dalla materia alla forma.

Entrandovi per la prima volta, la sua apparenza di laboratorio elettromeccanico è subito cancellata dalla presenza inconfondibile dell’artista che da autentico homo faber ne trasforma la realtà.

In mezzo a proiettori, compressori, obiettivi, cavi elettrici ammucchiati intorno a un grande tornio e a una fresa, insieme a lastre di ottone, alluminio, acciaio, Fogliati si muove sicuro; e per il visitatore allaccia spine elettriche, preme interruttori, e soprattutto parla, con chiarezza e entusiasmo dell’opera che sta per mostrarci. Così, improvvisamente, di fronte a una curiosità sempre più crescente, in un angolo del laboratorio, da questo assemblaggio eterogeneo di elementi tecnologici, scaturiscono eventi luminosi o sonori immateriali, poetici e magici. Contemporaneamente, egli ne ripercorre narrativamente le varie fasi progettuali, fino al risultato del perfetto e mirabile evento a cui stiamo assistendo.

Mirella Bandini – 1990

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Tesi di laurea sull’opera di Piero Fogliati (introduzione)

Quando entrai per la prima volta nello studio di Piero Fogliati provai una sensazione di disorientamento. Cosa mi aspettavo di trovare? Conoscevo già una sua opera dall’evocativo titolo “Edicola delle apparizioni”, ma evidentemente ciò non bastò a preparare il terreno. Pur conoscendo il suo lavoro, credo che il primo contatto con il suo ambiente costituisca un’esperienza unica.

La seconda volta tutto già quadra alla perfezione. Forse inganna lo stereotipo dell’atelier d’artista tutto tele, pennelli, cavalletto e colori, ma qui non appare nulla di tutto questo. Al contrario, sembra di essere all’interno del laboratorio di un uomo abituato alla concretezza matematica e precisa della costruzione meccanica e tecnologica. In altre parole, quindi, ciò che si evidenzia allo sguardo non è tanto l’atmosfera idealistica propria dell’attività dell’artista, quanto il severo pragmatismo di un impeccabile costruttore.

Ci vuole, però, molta cautela nell’affermare questo, perché in realtà in lui questa distinzione netta non si compie. Piero Fogliati è un artista, lo è nel senso pieno della parola, ma c’è in lui un aspetto altrettanto importante che lo pone come punto d’incontro tra due attività fondamentali dell’esistenza dell’uomo: l’arte e la scienza.

Alessandro Trabucco – 1999

Un laboratorio per i sensi e per la mente

La visita all’atelier di Piero Fogliati è qualcosa di indimenticabile.

Un piccolo ingresso, tre stanze semibuie dove ci si muove a fatica in un groviglio di cavi, attrezzi e marchingegni misteriosi.

Un incrocio chimerico tra il garage di un elettrauto, un’officina di lavorazioni meccaniche, un negozio di ferramenta e una cantina ingombra di relitti tecnologici.

Ma basta ruotare un interruttore, muovere una levetta, e le macchine si animano, si accendono luci, sfarfallano colori, ti investono soffi e suoni provenienti da direzioni indistinte, la penombra diventa lo scenario nel quale agiscono i fantasmi di una straordinaria avventura emotiva, nella quale l’immaginazione dell’artista ti trascina agendo con le armi della sorpresa e di insolite esperienze sensoriali.

Piero Bianucci – 2003