Fotografie di Piero Fogliati al lavoro nel 1969

All’interno del percorso che ha portato a delineare il progetto della Città Fantastica, i disegni di Piero Fogliati costituiscono una sorta di diario di bordo. Ed infatti è lui stesso a notare come «il disegno dà forza al mio pensiero ed è un modo per conservare le idee, come un diario di bordo. Attraverso il disegno fisso quello che vorrei realizzare». Tali disegni, da lui stesso chiamati fissazioni proprio perché registrano sulla carta le sue idee, palesano in effetti la spinta creativa originaria, rappresentano l’opera “in nuce”, il punto di partenza nello sviluppo delle sue realizzazioni. Osservando il complesso dei disegni di Fogliati si passa dai lavori in un certo senso più descrittivi, talora ricchi di annotazioni, a lavori più sintetici, quelli che “fissano” l’immediatezza dell’idea, fino ad arrivare a lavori cronologicamente più recenti, che spesso astraggono da una precisa volontà applicativa, in cui l’artista indugia sull’utilizzo del colore, sull’elaborazione del segno, sulla cura della composizione, sentendosi libero di diventare egli stesso fruitore autonomo della sua opera.

I DISEGNI DI FOGLIATI di Marisa Vescovo

L’opera grafica di Fogliati è smisurata e si intreccia integralmente alla sua ricerca formale e poetica in gran parte anticipati su fogli poi confluiti in quella che l’autore ha battezzato “Città Fantastica”, riferita all’idea di città impossibile e magica. Il disegno per Fogliati è un mezzo vitale per “fissare” il primo lampo di immagine figurativa, rielaborandolo a più riprese fino a quando da una sintesi nascerà l’opera. Il metodo che guida l’artista è quello di indagare l’infinita varietà degli aspetti e della vita del mondo fisico e naturale per riscoprirne le leggi e ricondurle ad una ragione cosmica, profondamente lirica.

Fogliati usa propriamente il termine “utopia” come “non – luogo”, luogo che non esiste, ma che viene tuttavia descritto in ogni suo dettaglio come se esistesse. Nel disagio di un mondo postmoderno, Fogliati si è affezionato alla possibilità, cha aveva saputo conquistarsi, e costruirsi, lungo le mille avventure intellettuali che hanno avvalorato la sua vita, di coltivare quietamente e assiduamente la “gratuità” di un proprio terreno di suggestioni culturali. Quando osserviamo i disegni a matita, nera, rossa o verde, legati alla descrizione della “sua” città, ci pare di muoverci su arabeschi in cui la ricorrente linea curva può essere assunta a simbolo del Barocco, dell’affermazione del movimento, del rifiuto della fissità e della rigidità, quindi scelta di mutamento e di invenzione, di flessibilità che diventa forma prediletta.

Fantastiche sono le grandi vesciche, aperte verso il basso, che assorbono il rumore del traffico urbano per ritrasmetterlo in sonorità armoniche. Altrettanto straordinari sono gli strumenti a forma di tubi o ampolle, che assorbono dalla terra i suoi suoni intimi, segreti, che tornano in superficie da tempi immemorabili. Con il suo segno lieve e pregnante, l’artista va verso il linguaggio del mito, della meraviglia, della possibilità assoluta, e se sappiamo coglierla, la sua voce ci dice che c’è un futuro, non si sa quando e dove, ma ci sta aspettando.

Marisa Vescovo